Ricette sardegna

Cavalli comune denomitore delle sagre e feste Sarde ….L’Ardia di Sedilo

Una delle più emozianti e suggestive manifestazioni religiose della Sardegna e senza dubbio l’Ardia di Sedilo….

L’Ardia in se è una manifestazione tradizionale che si tiene oltre che a Sedilo, a Pozzomaggiore e a Samugheo e precisamente nelle date del 6 e 7 luglio di ogni anno e consiste di una corsa a cavallo presso il Santuario dedicato all’imperatore romano Costantino I (che i sardi chiamano affettuosamente Santu Antinu), che nel 312 sconfisse Massenzio, usurpatore a Roma, nella battaglia di Ponte Milvio. Tuttavia tale manifestazione, si teneva spesso anche in molti altri centri dell’Isola, tra i quali Sorso in provincia di Sassari in occasione di festività religiose.

Suggestive sono le immagini che ci regalano fotografi amatoriali, che girano la sardegna per omaggiarla con i loro scatti, consapevoli del grande affetto che questa nostra terra merita ..fra questi fotografi annottiamo fra gli amici di romangia.net Emanuele Secci, e Matteo Setzu che ogni tanto di deliziano con i loro scatti.

Ieri sera, seguendo sempre l’identico rituale che inizia dal momento che i tre capi corsa si radunano innanzi alla casa parrocchiale, assieme agli altri cavalieri, questi ricevono dal canonico gli stendardi benedetti ( dette Sas Pandelas): il primo stendardo è di colore giallo oro, il secondo rosso, il terzo bianco. Il parroco stesso, alcuni mesi prima, ha designato, desumendolo da un registro conservato in parrocchia secondo un ordine cronologico d’iscrizione, il nome del capocorsa (prima pandela), al quale spetta il compito di guidare l’Ardia.
La Prima Pandela viene affiancato in questo incarico da altri due cavalieri da lui scelti (sa segunda e sa terza pandela). A questi ultimi ed alle scorte (sas iscortas) è affidato il compito di impedire che il capocorsa venga superato dai restanti cavalieri, simboleggianti la paganità.viene affiancato in questo incarico da altri due cavalieri da lui scelti (sa segunda e sa terza pandela). A questi ultimi ed alle scorte (sas iscortas) è affidato il compito di impedire che il capocorsa venga superato dai restanti cavalieri, simboleggianti la paganità.
Il superamento de sa prima pandela rappresenterebbe la vittoria del paganesimo sul cristianesimo, oltre che un terribile affronto per gli alfieri. Il vocabolo “ardia” deriva, infatti, dal verbo bardiare che significa “proteggere, fare la guardia”. Al termine della consegna degli stendardi, i cavalieri, guidati dal parroco e dal sindaco ed accompagnati da una banda musicale e dai fucilieri che annunciano l’arrivo del corteo, attraversando le vie principali del paese si dirigono verso il santuario, situato nelle campagne del paese, a breve distanza dal centro abitato.

Giunti a su Frontigheddu, promontorio sovrastante l’arco d’ingresso all’area del santuario, i partecipanti alla corsa sostano il tempo necessario per ricevere la benedizione dal parroco. D’un tratto, in modo imprevedibile e inaspettato, sa prima pandela, seguita dal resto dei cavalieri, lancia al galoppo il proprio cavallo.

In breve tempo, percorrendo un tratto di terreno impervio e malagevole, il gruppo raggiunge il santuario e, lentamente, vi compie intorno un numero imprecisato di giri che, generalmente, varia da cinque a sette. I cavalieri si precipitano indi verso sa muredda, un muretto circolare al centro del quale si trova una croce.

L’Ardia si conclude quando, ancora una volta con impeto repentino, il gruppo ripercorre il tratto di terreno che separa sa muredda dal santuario.

Dopo la celebrazione della Messa, l’intero corteo, seguito dalla folla, si dirige verso il paese e raggiunge la casa del parroco, dove ha luogo la cerimonia della riconsegna degli stendardi.

La mattina seguente si ripete il cerimoniale della sera precedente, ma stavolta l’atmosfera è più intima e raccolta.

Il giorno dell’ottava, infine, si svolge, con lo stesso rituale dell’Ardia a cavallo, l’Ardia a piedi, alla quale partecipano un gran numero di giovani.

Ora godiamoci gli scatti di Emanuele e di Matteo ai quale non finiremo mai di dire grazie.

Le foto di Emanuele Secci e di Matteo Setzu:


Fonte: Romangia net – Sorso e Sennori online

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